La corte di Napoli in quest'epoca fu una delle più raffinate e aperte alle novità culturali del Rinascimento: erano ospiti di Alfonso
Lorenzo Valla che proprio durante il soggiorno partenopeo denunciò il falso storico della
donazione di Costantino, l'umanista
Antonio Beccadelli e il
greco Emanuele Crisolora. Ad Alfonso si deve anche la ricostruzione di
Castel Nuovo. L'assetto amministrativo del regno rimase grossomodo quello dell'età angioina: furono ridimensionati però i poteri degli antichi giustizierati (
Abruzzo Ultra e
Citra,
Contado di Molise,
Terra di Lavoro,
Capitanata,
Principato Ultra e
Citra,
Basilicata,
Terra di Bari,
Terra d'Otranto,
Calabria Ultra e
Citra), che conservarono funzioni prevalentemente politiche e militari. L'amministrazione della giustizia fu invece devoluta nel
1443 alle corti baronali, nel tentativo di ricondurre le antiche gerarchie feudali nell'apparato burocratico dello stato centrale. È considerato un altro importante passo verso il raggiungimento dell'unità territoriale nel regno di Napoli la politica del re, volta ad incentivare pastorizia e transumanza: nel
1447 Alfonso I varò una serie di leggi, fra cui l'imposizione ai pastori abruzzesi e molisani di svernare entro i confini napoletani, nel
Tavoliere, dove molti dei terreni coltivati furono trasformati anche forzatamente in pascoli. Istituì inoltre, con sede prima a
Lucera e poi a
Foggia, la
Dogana della mena delle pecore in Puglia e l'importantissima rete dei
tratturi che dall'
Abruzzo conducevano alla
Capitanata. Questi provvedimenti risollevarono l'economia delle città interne fra
L'Aquila e la
Puglia: le risorse economiche legate alla pastorizia transumante dell'appennino abruzzese un tempo si disperdevano nello
Stato Pontificio, dove fino ad allora avevano svernato le mandrie; con i provvedimenti aragonesi le attività legate alla transumanza coinvolsero, prevalentemente entro i confini nazionali, le attività artigianali locali, i mercati e i fori boari tra
Lanciano,
Castel di Sangro,
Campobasso,
Isernia,
Boiano,
Agnone,
Larino fino al
Tavoliere, e l'apparato burocratico sorto attorno alla dogana, predisposto alla manutenzione dei tratturi e alla tutela giuridica dei pastori, divenne, sul modello del
Concejo de la Mesta iberico, la prima base popolare dello stato centrale moderno nel regno di Napoli. In misura minore lo stesso fenomeno si verificò fra
Basilicata e
Terra d'Otranto e le città (
Venosa,
Ferrandina,
Matera) legate alla transumanza verso il
Metaponto. Alla sua morte (
1458) Alfonso divise nuovamente le corone che aveva unito assegnando al figlio
Ferrante il territorio italiano continentale (regno di Napoli o
regno di Sicilia al di qua del faro) mentre
Aragona e isole a
Giovanni II.
Re
Alfonso lasciò quindi un regno perfettamente inserito nelle politiche italiane. La successione del figlio
Ferdinando I di Napoli, detto
Don Ferrante, fu sostenuta dallo stesso Francesco Sforza; i due nuovi sovrani insieme intervennero nella
repubblica di Firenze e sconfissero le truppe del capitano di ventura
Bartolomeo Colleoni che insidiavano i poteri locali; nel
1478 le truppe napoletane intervennero nuovamente in
Toscana per arginare le conseguenze della
congiura dei Pazzi, e poi in
Val Padana nel
1484, alleate con Firenze e Milano, per imporre a
Venezia la
pace di Bagnolo.
Il potere di
Ferrante però, durante la sua reggenza, rischiò seriamente di essere minacciato dalla nobiltà campana; nel
1485 tra la
Basilicata e
Salerno Francesco Coppola,
conte di Sarno, e
Antonello Sanseverino principe di Salerno con l'appoggio dello
Stato Pontificio e della
repubblica di Venezia furono a capo di una rivolta, con ambizioni guelfe e rivendicazioni feudali angioine, contro il governo aragonese che, accentrando il potere a
Napoli, minacciava la nobiltà rurale. La rivolta è conosciuta come
congiura dei baroni e fu debellata nel
1487 grazie all'intervento di
Milano e
Firenze. Per un breve periodo la città de
L'Aquila passò allo
Stato Pontificio. Un'altra congiura filoangioina parallela, tra
Abruzzo e
Terra di Lavoro, fu guidata da
Giovanni della Rovere nel
ducato di Sora, terminata con l'intervento mediatore di
papa Alessandro VI. Nonostante gli sconvolgimenti politici, Ferrante continuò nella capitale
Napoli il mecenatismo del padre Alfonso: nel 1458 sostenne la fondazione dell'
Accademia Pontaniana, ampliò le mura cittadine e costruì
Porta Capuana. Nel 1465 la città ospitò l'
umanista greco Costantino Lascaris e il
giurista Antonio D'Alessandro, nonché nel resto del regno
Francesco Filelfo,
Giovanni Bessarione. Alla corte dei figli di Ferdinando gli interessi umanistici presero però un carattere molto più politico, decretando fra le altre cose l'adozione definitiva del
toscano come lingua letteraria anche a
Napoli: è della seconda metà del
XV sec. l'antologia di rime nota come
Raccolta aragonese, che
Lorenzo de' Medici inviò al
re di Napoli Federico I, in cui si proponeva alla corte partenopea il fiorentino come modello di volgare illustre, di pari dignità letteraria con il
latino. Gli intellettuali napoletani accolsero il programma culturale mediceo, reinterpretando in modo originale gli stereotipi della tradizione toscana. Sull'esempio del
Boccaccio Masuccio Salernitano già aveva steso, attorno alla metà del
'400, una raccolta di novelle in
topoi pastorali e
mitici della
poesia bucolica virgiliana e
teocritea, anticipando di secoli la tendenza del
romanzo moderno e
contemporaneo ad adottare come riferimento poetico un sostrato mitologico-esoterico. L'ispirazione bucolica del Sannazaro si connotò anche come contrappeso agli stereotipi cortigiani dei
petrarchisti, dei
provenzali e siciliani, o dello
stilnovismo, e nel ritorno ad una poetica pastorale si legge una chiara contrapposizione umanistica e filologica della mitologia classica alle icone femminili dei poeti toscani, fra cui
Dante e
Petrarca, che velatamente esprimevano le tendenze politiche e sociali dei
comuni e delle
signorie d'
Italia. Sannazzaro poi fu anche modello e ispirazione per i poeti dell'
Accademia dell'Arcadia, che proprio dal suo romanzo presero il nome della loro scuola letteraria. cui le trovate satiriche furono portate ad esiti estremi, con invettive contro le donne e le gerarchie ecclesiastiche, tanto che la sua opera fu inserita nell'
Indice dei libri proibiti dall'
Inquisizione. Un vero e proprio canone letterario fu inaugurato invece dal
Sannazzaro che, nel suo
prosimetrum Arcadia, per la prima volta espose in volgare ed in prosa i
Già dalla prima grande epidemia di
peste (
XIV secolo) che coinvolse l'
Europa, le città e l'economia del
Mezzogiorno estremo furono pesantemente colpite, tanto da rendere quel territorio che dalla prima
colonizzazione greca era rimasto per secoli uno dei più produttivi del
Mediterraneo, una vasta campagna spopolata. I territori costieri pianeggianti (
pianura del Metaponto,
Sibari,
Sant'Eufemia), ormai abbandonati, erano impaludati e infestati dalla malaria, ad eccezione della
piana di Seminara, dove la produzione agricola accanto a quella della
seta sosteneva una debole attività economica legata alla città di
Reggio.
Nel
1444 Isabella di Chiaromonte sposò
Don Ferrante e portò in dote alla corona napoletana il
principato di Taranto, che alla morte della regina nel
1465 fu soppresso e unito definitivamente al regno. Nel
1458 arrivò nel
Mezzogiorno il combattente albanese
Giorgio Castriota Scanderbeg per sostenere il re
Don Ferrante contro la rivolta dei baroni. Già precedentemente lo Scanderbeg venne a sostegno della corona aragonese a
Napoli sotto il regno di
Alfonso I.
Il condottiero albanese ottenne in
Italia una serie di titoli nobiliari, e i possedimenti feudali annessi, che furono rifugio per le prime comunità di
arbereschi: gli albanesi, esuli a seguito della sconfitta da parte di
Maometto II del partito cristiano nei
Balcani, si insediarono in zone del
Molise e della
Calabria, fino ad allora spopolate.
Una ripresa delle attività economiche in Puglia tornò con la concessione del
ducato di Bari a
Sforza Maria Sforza, figlio di
Francesco Maria Sforza duca di Milano, offerta da
Don Ferrante per confermare l'alleanza fra
Napoli e la
città lombarda.Succeduto
Ludovico il Moro a Sforza Maria, gli sforzeschi trascurarono i territori pugliesi in favore della
Lombardia, finché il Moro cedette ad
Isabella d'Aragona, erede legittima alla reggenza di Milano, Bari, in cambio del ducato lombardo. La nuova duchessa in Puglia iniziò una politica di miglioramento urbanistico della città, a cui seguì una leggera ripresa economica durata fino al governo della figlia
Bona Sforza e alla successione al titolo regale di
Napoli di
Carlo V.
Nel
1542 il viceré
Pedro di Toledo emise il decreto di espulsione per gli
ebrei dal regno di Napoli. Le ultime comunità che già dalla
grande diaspora del
II sec. si erano insediate fra
Brindisi e
Roma sparirono dalle realtà urbane in cui avevano trovato accoglienza. Nei porti della costa pugliese e nelle principali città della Calabria, nonché con alcune deboli presenze in
Terra di Lavoro, dopo la crisi dell'economia cenobitica del
XVI sec., gli
ebrei erano l'unica fonte efficiente delle attività finanziarie e commerciali: oltre al privilegio esclusivo, concesso dalle amministrazioni locali, di esercitare il prestito di denaro, le loro comunità gestivano importanti settori del commercio della seta, relitto di quel sistema economico del mediterraneo che nel
Mezzogiorno sopravvisse alle
invasioni barbariche e al
feudalesimo.
A
Don Ferrante successe il primogenito
Alfonso II nel
1494. Nello stesso anno
Carlo VIII di Francia scese in
Italia a sconvolgere il delicato equilibrio politico che le città della penisola avevano raggiunto negli anni precedenti. L'occasione riguardò direttamente il regno di Napoli; Carlo VIII vantava una lontana parentela con gli angioini re di Napoli (la nonna paterna era figlia del
Luigi II che tentò di sottrarre il trono partenopeo a
Carlo di Durazzo e a
Ladislao I), sufficiente per poter rivendicare il titolo regale. Con la
Francia si schierò anche il
ducato di Milano:
Ludovico Sforza aveva spodestato gli eredi legittimi del ducato
Gian Galeazzo Sforza e sua moglie
Isabella d'Aragona, figlia di
Alfonso II, sposi nel matrimonio con cui Milano aveva suggellato l'alleanza con la corona aragonese. Il nuovo duca di
Milano non si oppose a Carlo VIII, il quale si diresse contro il regno aragonese; evitando la resistenza di
Firenze, il re francese occupò in tredici giorni la
Campania, e poco dopo entrò in
Napoli: tutte le province si sottomisero al nuovo sovrano d'oltralpe, salvo che le città di
Gaeta,
Tropea,
Amantea e
Reggio. Gli aragonesi rifugiarono in
Sicilia e cercarono il sostegno di
Ferdinando il Cattolico. L'espansionismo francese spinse però anche il
papa Alessandro VI e
Massimiliano d'Asburgo a costituire una Lega contro Carlo VIII, per combatterlo e infine sconfiggerlo nella
battaglia di Fornovo: alla fine del conflitto la
Spagna occupò la Calabria, mentre la
repubblica di Venezia acquisiva i porti principali della
costa pugliese (
Manfredonia,
Trani,
Mola,
Monopoli,
Brindisi,
Otranto,
Polignano e
Gallipoli). Alfonso II morì durante le operazioni belliche, nel
1495, e
Ferrandino ereditò il trono, ma gli sopravvisse un solo anno senza lasciare eredi; nel
1496 divenne re il figlio di Don Ferrante e fratello di Alfonso II,
Federico I, il quale dovette nuovamente affrontare le ambizioni francesi su Napoli.
Luigi XII duca d'
Orléans aveva ereditato il
regno di Francia dopo la morte di Carlo VIII; avendo il
re d'Aragona Ferdinando il Cattolico ereditato il trono di
Castiglia stipulò un accordo con i sovrani francesi pretendenti il trono di Napoli, per spartirsi l'
Italia e spodestare gli ultimi aragonesi nella penisola.
Luigi XII occupò il ducato di Milano, dove catturò
Ludovico Sforza, e, d'accordo con Ferdinando il Cattolico, si mosse contro
Federico I di Napoli; un accordo fra francesi e spagnoli aveva previsto la spartizione del Regno di Napoli fra le due corone:
Abruzzo e
Terra di Lavoro, nonché il titolo di
rex Hierosolymae e, per la prima volta, di
rex Neapolis, al
sovrano francese, mentre
Puglia e
Calabria, con i titoli
ducali annessi, al
sovrano spagnolo. Con tale trattato l'
11 novembre del
1500 il titolo di
rex Siciliae fu dichiarato decaduto dal
papa Alessandro VI e unito alla
corona d'Aragona.
Federico I di Napoli rifugiò ad
Ischia e, infine, cedette la propria sovranità al
re di Francia, in cambio di alcuni feudi nell'
Angiò. Nonostante l'occupazione del regno fosse riuscita con successo ad entrambi, i due re non si trovarono concordi nell'attuazione del trattato di spartizione del regno: restarono indefinite le sorti della
Capitanata e del
Contado di Molise, sui cui territori sia francesi che spagnoli rivendicavano la sovranità. Ereditato il
regno di Castiglia da
Filippo il Bello, il nuovo re spagnolo cercò un secondo accordo, con Luigi XII, per cui i titoli di
re di Napoli e duca di Puglia e Calabria sarebbero andati alla figlia di Luigi,
Claudia, e a
Carlo V, suo sposo promesso (
1502).
Le truppe spagnole che occupavano Calabria e Puglia, capitanate da
Gonzalo Fernández de Córdoba e fedeli a Ferdinando il Cattolico, non rispettarono però i nuovi accordi e cacciarono dal Mezzogiorno i francesi, a cui restò la sola
Gaeta fino alla loro definitiva sconfitta nella
battaglia del Garigliano. I trattati di pace che seguirono non furono mai definitivi, sennonché si stabilì almeno che il titolo di
re di Napoli spettasse a
Carlo V e alla futura moglie Claudia. Ferdinando il Cattolico però continuò a possedere il regno considerandosi erede legittimo dello zio
Alfonso I di Napoli e della antica corona aragonese di Sicilia (
regnum Utriusque Siciliae).
La casa reale aragonese divenuta indigena in
Italia si era però estinta con
Federico I, e
Napoli cadde sotto il controllo della
corona di Spagna che vi istituì un
vicereame. Il meridione d'Italia restò possedimento diretto dei sovrani iberici fino alla fine della
Guerra di successione spagnola (
1713). La nuova struttura amministrativa, benché fortemente centralizzata, si sosteneva sull'antico sistema feudale: i baroni ebbero modo così di rafforzare la propria autorità e i privilegi fondiari, mentre il clero vide accrescere il proprio potere politico e morale. Gli organi amministrativi più importanti avevano sede a Napoli ed erano il
Consiglio Collaterale, simile al
Consiglio d'Aragona, l'organo supremo nell'esercizio delle funzioni giuridiche (composto dal viceré e da tre giureconsulti), la
Camera della Sommaria, il
Tribunale della Vicaria e il
Tribunale del Sacro Regio Consiglio.
Fu
Ferdinando il Cattolico che, detentore dei titoli di Re di
Napoli e di
Sicilia, nominò colui che era stato fino ad allora
Gran Capitano dell'esercito napoletano,
Gonzalo Fernández de Córdoba,
viceré, affidandogli in sua vece gli stessi poteri di un re. Allo stesso tempo decadeva il titolo di
Gran Capitano, e il comando delle truppe reali di Napoli fu affidato al conte di
Tagliacozzo Fabrizio I Colonna con la nomina di
Gran Conestabile e l'incarico di condurre una spedizione in
Puglia, contro
Venezia che occupava alcuni porti adriatici. L'operazione militare terminò con successo e i porti pugliesi tornavano nel
1509 al regno di Napoli. Re Ferdinando inoltre ristabilì il finanziamento all'
università di Napoli disponendo un contributo mensile dal suo tesoro personale di 2000
ducati l'anno], privilegio confermato poi dal suo successore
Carlo V.
Succedettero al de Córdoba prima
Juan de Aragón, che promulgò una serie di leggi contro la corruzione, combatté il
clientelismo, vietò il
gioco d'azzardo e l'
usura, e poi
Raimondo de Cardona, che nel
1510 introdusse l'
inquisizione a Napoli e i primi provvedimenti restrittivi nei confronti degli
ebrei.
Carlo V, figlio di
Filippo il Bello e
Giovanna la pazza, per un complicato sistema d'eredità e parentele, si trovò a governare presto un vastissimo impero: dal padre ottenne la
Borgogna e le
Fiandre, dalla madre nel
1516 la
Spagna,
Cuba, il regno di
Napoli (per la prima volta col titolo di
rex Neapolis), la
Sicilia e la
Sardegna, nonché due anni dopo i
domini austriaci dal nonno
Massimiliano d'Asburgo.
Il regno di
Francia, ancora una volta, venne a minacciare
Napoli e il dominio di
Carlo V sul
Mezzogiorno: i francesi dopo aver conquistato il
ducato di Milano al figlio di
Ludovico il Moro,
Massimiliano, furono sconfitti e cacciati dalla
Lombardia da Carlo V (
1515). Il re di Francia
Francesco I nel
1526 entrò allora in una lega, sugellata da
Clemente VII, detta
lega santa, con
Venezia e
Firenze, per cacciare gli
spagnoli da
Napoli. Dopo una prima sconfitta della lega a
Roma, i francesi risposero con l'intervento in
Italia di
Odet de Foix, che si spinse fino a
Napoli assediando la città, mentre la
Serenissima occupava
Otranto e
Manfredonia. Quando però la flotta genovese, alleata dei francesi, si mise al soldo di
Carlo V, l'assedio di Napoli si tramutò nell'ennesima sconfitta dei nemici della
Spagna, che portò poi al riconoscimento da parte di
Clemente VII del titolo imperiale di
re Carlo.
Venezia perse definitivamente i suoi possedimenti in Puglia (
1528). Le ostilità della
Francia contro i domini spagnoli in Italia però non cessarono:
Enrico II, figlio di
Francesco I di Francia, sollecitato da
Ferrante Sanseverino,
principe di Salerno, si alleò con i
turchi ottomani; nell'estate del
1552 la flotta turca al comando di Sinan Pascià sorprese la flotta imperiale, al comando di
Andrea Doria e don Giovanni de Mendoza, al largo di
Ponza, sconfiggendola.
La flotta francese però non riuscì a ricongiungersi con quella turca e l'obiettivo dell'invasione del napoletano fallì. Nel
1555, a seguito di una serie di sconfitte in
Europa,
Carlo abdicò e divise i suoi domini fra
Filippo II, a cui lasciò la
Spagna, le colonie d'
America, i
Paesi Bassi spagnoli, il regno di Napoli, la
Sicilia e la
Sardegna, e
Ferdinando I d'Asburgo a cui andò l'
Austria, la
Boemia, l'
Ungheria e il titolo di imperatore.
I vicereami del duca d'Alba, di Hurtado de Mendoza e la pestilenza
I vicereami che si successero sotto il regno di
Filippo II furono per lo più contrassegnati da operazioni belliche che non apportarono benessere alla popolazione di
Napoli. A peggiorare la situazione incorse la pestilenza che si diffuse in tutta
Italia attorno al
1575, anno della nomina a viceré di
Íñigo López de Hurtado de Mendoza.
Napoli, in quanto città portuale, fu estremamente esposta alla diffusione del morbo e le sue attività economiche principali furono minate alla base. Negli stessi anni sbarcarono prima a
Trebisacce, in
Calabria, poi in
Puglia, le navi del sultano ottomano
Murad III, che saccheggiarono i porti principali dello
Jonio e dell'
Adriatico. Fu necessario incrementare la militarizzazione delle coste, perciò il de Mendoza fece costruire un nuovo arsenale nel porto di Santa Lucia su progetto di
Vincenzo Casali. Inoltre vietò ai funzionari pubblici di intrecciare legami sacramentali e parentele religiose.
Dalla pace di Cateau-Cambresis alla fine del dominio spagnolo
Con la
pace di Cateau-Cambresis la storiografia tradizionale designa la fine delle ambizioni francesi nella penisola italiana. Il clima di riforme religiose che coinvolgeva all'epoca sia l'opposizione
luterana al
papato di Roma, sia la stessa
chiesa cattolica, nei territori del vicereame di
Napoli si contestualizzò nella crescita dell'autorità civile del clero e delle gerarchie ecclesiastiche. Nel
1524, a
Chieti,
Gian Pietro Carafa aveva fondato la congregazione dei
teatini che si diffuse presto in tutto il regno, affiancata poi dai collegi dei
gesuiti, che furono per secoli l'unico riferimento culturale per le province dell'
Italia meridionale. Il
concilio di Trento imponendo nuove regole alle diocesi, quali l'obbligo della residenza nella propria sede a vescovi, parroci e abati, l'istituzione di
seminari diocesani, dei
tribunali d'inquisizione e, più tardi, dei
monti frumentari, trasformò le diocesi del vicereame di Napoli in veri e propri organi di potere, fortemente radicati nel territorio e nelle province, poiché erano l'unico sostegno sociale, giuridico e culturale al controllo dell'ordine civile. Fra gli altri ordini monastici che ebbero molto successo a
Napoli in questi anni si ricordano i
Carmelitani Scalzi, le suore
Teresiane, i
Fratelli della Carità, i
Camaldolesi e la
Congregazione dell'Oratorio di
San Filippo Neri.
De Castro, Téllez-Girón I, Juan de Zúñiga y Avellaneda e la rivolta in Calabria
Il 16 luglio
1599 giunse a
Napoli il nuovo viceré
Fernando Ruiz de Castro. Il suo operato si limitò principalmente ad operazioni militari contro le incusioni turche in
Calabria di
Amurat Rais e
Sinan Pascià.
Nello stesso anno della sua nomina a viceré, il domenicano
Tommaso Campanella, che ne
La città del Sole delineava uno stato comunitario, basato su una presunta religione naturale, organizzò una congiura contro
Fernando Ruiz de Castro nella speranza di instaurare una
repubblica con capitale a
Stilo (
Mons Pinguis). Il filosofo e astrologo calabrese già era stato prigioniero del
Sant'Uffizio e confinato in
Calabria: qui col sostegno dottrinale e filosofico della tradizione
escatologica gioachimita mosse i primi passi per persuadere monaci e religiosi ad aderire alle sue ambizioni rivoluzionarie, fomentando una congiura che si estese fino a coinvolgere non solo l'intero
ordine domenicano delle Calabrie, ma anche i locali ordini minori come
agostiniani e
francescani, e le principali diocesi da
Cassano a
Reggio Calabria. Fu la prima rivolta in
Europa a schierarsi contro l'ordine dei
gesuiti e la loro crescente autorità spirituale e secolare. La congiura fu sedata e Campanella, che si spacciò per pazzo, scampò al rogo e all'ergastolo. Qualche anno prima (
1576) a
Napoli veniva processato per
eresia anche un altro
domenicano, il filosofo
Giordano Bruno, le cui speculazioni e tesi furono ammirate successivamente da diversi studiosi dell'
Europa luterana.
Il de Castro inaugurò inoltre una politica incentrata sul finanziamento statale per la costruzione di diverse opere pubbliche: sotto la direzione dell'architetto
Domenico Fontana a Napoli dispose la costruzione del nuovo
palazzo reale nell'attuale
piazza del Plebiscito. Caratterizzato prevalentemente da opere urbanistiche fu il mandato di
Pedro Téllez-Girón y de la Cueva: costui sistemò la viabilità della capitale e delle province
pugliesi. Gli succedette
Juan de Zúñiga y Avellaneda, il cui governo fu orientato al recupero dell'ordine nelle province: arginò il brigantaggio negli
Abruzzi con il supporto dello
Stato Pontificio e in
Capitanata; ammodernò la viabilità fra
Napoli e la
Terra di Bari. Nel
1593 furono fermati dal suo esercito gli
Ottomani che tentarono di invadere la
Sicilia.